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Orchis simia

Page history last edited by Dow Osage 8 years, 7 months ago

 

Dominio 

Eukaryota

Regno 

Plantae

Divisione

Magnoliophyta

Classe

Liliopsida

Ordine

Orchidales

Famiglia

Orchidaceae

Sottofamiglia

Orchidoideae

Tribù

Orchideae

Sottotribù

Orchidinae

Genere

Orchis

Specie

Orchis simia

   

 Nome comune

  • Orchidea scimmia (Italia)

  • Orchidea omiciattolo (Italia)

  • Meymun səhləbi (Azerbaigian)

  • Monkey orchid (Inghilterra)

  • Orchis singe (Francia, Svizzera francofona) 

  •  Ятры́шник обезья́ний (Russia)

  • Aapjesorchis (Paesi Bassi)

  •  Affen-Knabenkraut (Germania, Austria, Svizzera tedescofona)

  •  Orquídea mono (Spagna)

  • Weblocal (Hospedagem)

     

 

 Distribuzione 

  • L'orchis simia è una particolare specie d'orchidea alquanto diffusa nella nostra penisola dal settentrione al mezzogiorno, fatta eccezione per la Puglia e la Val d'Aosta, mentre in Sicila la sua presenza è discussa. Se ne trovano esemplari in tutto il bacino del Mediterraneo, dai monti del Caucaso alla penisola Iberica.

 

 Morfologia 

  • Fusto, radici e foglie

Trattandosi d'una pianta erbacea geofita bulbosa, essa non presenta un notevole fusto visibile, il quale non superainfatti i 20-40 cm. Tale fusto è eretto, leggermente flessuoso. Come d'altronde suggerisce il termine "geofita" (dal greco "ghé", terra, e "phytòn", pianta), la pianta vera e propria si sviluppa sotto il livello del suolo con due rizotuberi di forma all'incirca sferica. Con il termine "rizotuberi" (si noti l'origine greca, da "rhiza", radice) si indicano radici ingrossatesi per divenire riserve d'acqua e sostanze nutritive. Sono proprio questi rizotuberi a dare il nome al genere: la loro presenza spesso in coppia aveva ricordato a Plinio il Vecchio e precedentemente a Teofrasto (filosofo vissuto in Grecia fra IV e III secolo a. C.) dei testicoli ed "orchis" in greco significa proprio "testicolo". Nel medioevo questa curiosa forma fu interpretata come un segnale indicante proprietà afrodisiache in realtà inesistenti. Le foglie sono normalmente oblungo-lanceolate, di colore verde chiaro, piane e lucide. Le brattee, ossia foglie modificate che accompagnano le infiorescenze (di cui si parlerà nella sezione sui fiori), sono lunghe all'incirca metà dell'ovario (e dunque molto brevi), verdi o soffuse di porpora.

Da un punto di vista genetico, l'Orchis simia presenta ventuno coppie di cromosomi.

  • Il fiore

I fiori dell'Orchis simia sono raggruppati in infiorescenze (immagine a destra) dalla forma ovata e densa. I vantaggi dell'infiorescenza sono notevoli, poiché i raggruppamenti di fiori attirano maggiormente gli insetti impollinatori e fanno sì che, grazie all'apertura scalare dei fiori stessi, i periodi nei quali può avvenire l'impollinazione si allunghino. Effettivamente da un punto di vista evolutivo i primi fiori erano solitari e le piante presentanti infiorescenze si sono sviluppate solo in un secondo momento.

I fiori dell'Orchis simia sono numerosi e formati da tepali conniventi in guisa di un cappuccio bianco-rosato con venature più scure; sono avvolti da sepali (ossia particolari petali evolutisi per proteggere il fiore e formanti il cosiddetto calice) del medesimo colore e dalla forma a lancia saldati alla base e liberi all'apice. Come tutte le orchidee, anche l'Orchis simia presenta il labello (dal latino labellum, piccolo labbro), ovvero un petalo mutatosi al

 fine di attrarre maggiormente gli insetti impollinatori, riproducendo in alcune specie perfino il ventre della femmina di tali insetti. Nel caso dell'Orchis simia il labello trilobato ricorda quasi un uomo stilizzato od una scimmia, con braccia e gambe (immagine a sinistra). Questa somiglianza ha dato di fatto il nome alla specie, poiché il termine "simia" in latino significa proprio "scimmia". La nostra specie d'orchidea condivide questa particolarità con altre specie del medesimo genere, quali l'Orchis militaris e l'Orchis italica. A proposito del labello, si può dire anche che esso ha colore bianco nella parte superiore ed è ricorperto da ciuffi di peli porporini; il lobi laterali sono lineari, molto stretti e pressoché cilindrici, generalmente arcuati all'apice, mentre il lobo medio è stetto e lungo, a sua volta trilobato in due lobuli laterali (che corrispondono alle "gambe della scimmia" di cui si parlava poc'anzi) allungati, divergenti e cilindrici, porporini anll'estremità, ed in un lobulo mediano (che rappresenterebbe una sorta di coda della nostra immaginaria scimmia), talora ridotto ad una mera punta e comunque sempre più piccolo degli altri due lobuli. Lo sperone, ossia la cavità generalmente contenente il nettare, ha forma cilindrica, ottusa, è arcuato verso il basso ed è più corto dell'ovario. A dire il vero le orchidee non producono nettare, ma ingannano, per così dire, gli insetti imitando altri fiori.

 

 Ecologia 

 

  • L'Orchis simia si adatta anche a terreni non particolarmente fertili, quali quelli delle garighe o praterie mediterranee. Le garighe sono caratterizzate da terreni a matrice calcarea e da temperature elevate e scarse precipitazioni, concentrate perlopiù nei mesi invernali. La piovosità si aggira infatti intorno ai 250 mm annui. Generalmente la gariga nasce come degradazione della macchia in seguito ad un incendio, all'erosione del suolo, allo sfruttamento eccessivo dei pascoli. Non può pertanto essa essere assimiliata ad un climax, poiché rappresenta uno stadio involutivo dovuto, come appunto si diceva poc'anzi, alla degradazione della macchia. Le piante che prediligono questo ambiente sono le geofite (come la nostra Orchis simia), poiché, grazie allo sviluppato apparato di radici, esse possono più facilmente trattenere acqua e sostanze nutritive. Inoltre la vegetazione della gariga non supera mai il metro, metro e mezzo di altezza, anche se la maggior parte delle piante si mantiene al di sotto dei 50 cm.
  • La gariga, con il nome di phrygana, è un ambiente tipico del paesaggio greco, ma essa si estende su tutto il bacino del Mediterraneo, assumendo in castigliano (ossia in spagnolo) il nome di tomillares, in catalano quello di garriga, in francese quello di garrigue (termine di origine provenzale, che ha dato origine anche all'espressione italiana), mato in portoghese e batha fra i popoli della Palestina. L'immagine sopra a destra mostra la gariga in provincia di Grosseto.

 

 Fenologia 

Durante il periodo della fioritura, che corre da aprile o dall'inizio di maggio ai primi dieci giorni di giugno, si aprono per primi non i fiori posti alla base dell'infiorescenza, come accade per la maggior parte delle orchidee, bensì quelli posti nella parte superiore. L'impollinazione è entomofila (dal greco "éntomon", insetto, e "philèin", amare) o entomogama (dal greco "éntomon" e "gamèin", sposare) che dir si voglia; ciò significa

 che l'impollinazione avviene ad opera degli insetti, in particolare nel nostro caso da lepidotteri del genere Hernaris o da coleotteri del genere Cidnopus. Come si diceva nella sezione dedicata alla morfologia, ciò che maggiormente attrae l'insetto è proprio il labello. Esso, che quando il fiore è in bocciolo si trova posteriormente, ruota di 180° durante la fioritura e si porta quindi davanti. Questo processo è detto "resupinazione". Al contrario di quanto avviene in tutte le altre specie vegetali, nelle orchidee, e dunque anche nell'Orchis simia, stami (organi genitali maschili) e pistilli (organi genitali femminili) sono riuniti in un unico organo, detto "colonna" o "gimnostermio". Quando un insetto impollinatore si introduce all'interno del fiore, l'unica antera (dal greco "antheròs", fiorito), posizionata all'estremità superiore della colonna, libera da una delle due logge polliniche, di cui consta, il polline, riunito in piccoli agglomerati detti "pollinoidi" (immagine a destra), e questo, grazie ad una superficie adesiva detta "viscidio", si attacca alla testa dell'animale. Quando l'insetto si poserà su un altro fiore, il polline verrà, per così dire, prelevato dallo stigma, organo posizionato sotto l'antera e contenente un liquido denso e colloso adibito a tale funzione. Gli ovuli sono contenuti nell'ovario, posizionato a sua volta sotto lo stigma. Questo crea tuttavia un problema: per poter distaccare dalla testa dell'animale il polline, bisogna che ce ne sia in quantità sufficienti. Nelle orchidee, infatti, o l'impollinazione è totale o non può aver luogo. D'altra parte, le capsule (ossia i frutti delle orchidee) contengono un gran numero di semi e pertanto anche il polline necessario all'impollinazione deve essere portato in quantità sufficientemente elevate. Pertanto le orchidee, e l'Orchis simia in questo non fa eccezione, hanno periodi di fecondabilità assai lunghi e, come suddetto, la fioritura nel nostro caso arriva fino a più di quaranta giorni. In questo è utile anche la disposizione dei fiori in infiorescenze, poiché, come già illustrato, l'apertura scalare permette di allungare i tempi nei quali può avvenire l'impollinazione, pur contenendo tuttavia i costi energetici per la pianta.

 

 Coltivazione 

  • Informazioni generali sulla coltivazione

Inutile dire che la nostra specie d'orchidea ha, in quanto pianta, bisogno, per sopravvivere, di anidride carbonica, acqua e luce, senza le quali sarebbe impossibile realizzare la fotosintesi clorofilliana. Nell'acqua tuttavia devono anche essere disciolte altre sostanze, utili a varie attività delle cellule della pianta. Tali sostanze sono l'azoto, presente soprattutto in proteine ed acidi nucleici, il fosforo, il potassio, il calcio, il magnesio (indispensabile alla sintesi della clorofilla) e lo zolfo. Se il substrato, dal quale la pianta ricava queste sostanze, non è sufficientemente ricco d'acqua, si verrebbe a creare un ambiente salino pericoloso per la sopravvivenza del vegetale. Altri elementi utili alla pianta sono metalli quali rame, zinco, ferro, cobalto, molibdeno, manganese, sodio e vanadio, cui si aggiunge un semimetallo, il boro, ed un non metallo, il cloro. Questi ultimi elementi devono essere assunti, benché necessari, in quantità minime, altrimenti risulterebbero dannosi. L'abilità del buon floricoltore sta proprio nel saper dosare questi elementi e qui verranno dati alcuni utili consigli.

Non bisogna esagerare con l'acqua all'inizio della primavera, poiché altrimenti i nuovi germogli marcirebbero. Per favorire una migliore ripresa dal sonno invernale, sarebbe consigliabile aumentare la quantità di azoto, che deve essere tripla sia a quella del fosforo sia a quella del potassio che si fanno assumere alla pianta, mentre quando i germogli sono ormai cresciuti bisogna intensificare le innaffiature e, per favorire la fioritura, si dovrebbe somministrare alla pianta una quantità di fosforo tripla rispetto all'azoto, mentre il potassio sia doppio rispetto all'azoto stesso. In tutti gli altri periodi si equilibrino invece le tre sostanze. Nel somministrare tali sostanze, si tenga ben presente di non superare mai il grammo di soluto per litro di solvente (chiaramente per solvente s'intende l'acqua), altrimenti, come già dicemmo, l'ambiente eccessivamente salino sarebbe pericoloso per la pianta. Inoltre, prima di procedere alla concimazione, bisogna assicurarsi che il substrato sia ben umido, pertanto è consigliabile, dopo quattro o cinque concimature, innaffiare la pianta senza aggiungere all'acqua altre sostanze. Bisogna anche curarsi, soprattutto nei mesi più caldi, di spruzzare un paio di volte al giorno acqua, evitando però di bagnare i fiori, i quali si potrebbero macchiare. A queste spruzzate vanno aggiunte le normali innaffiature, che per la nostra specie d'orchidea, una geofita, devono essere fatte per due volte la settimana. Non bisogna però eccedere, poiché muoiono più soventemente orchidee per eccesso d'acqua che per malattie. L'acqua migliore per l'innaffiatura è quella piovana.

  •  Malattie, cura e prevenzione delle stesse

Per la maggior parte delle malattie che colpiscono le orchidee non esiste cura, pertanto il buon floricoltore deve essere abile soprattutto nel prevenirle. Per prima cosa è necessario evitare danni alle piante, poiché procurare ferite alle stesse significa aprire un varco per infezioni di virus e batteri. Qualora venissero procurate accidentalmente delle ferite, è consigliabile spolverarle con cannella, che ha proprietà microbiche grazie ai fenoli in essa contenuti. Si consiglia inoltre di evitare di tenere vicine troppe piante, poiché si rischia di aumentare le probabilità di contagio, e di tenere le piante appena acquistate in quarantena, al fine di accertarsi della sanità di queste. Bisogna poi assicurarsi che il substrato non contenga parti marce e che gli strumenti utilizzati per la floricoltura siano ben sterilizzati, magari utilizzando una fiamma. Altra cosa da dire riguarda l'innaffiatura. L'acqua costituisce infatti un pericoloso veicolo per virus e batteri, pertanto è necessario evitare di spruzzare le orchidee nelle ore più calde, poiché i pori delle foglie sono maggiormente dilatati e pertanto il rischio d'infezioni è maggiore. Bisogna evitare anche di lasciare bagnate le parti della pianta a contatto con l'aria durante la notte. Quanto alla ventilazione, sia essa sufficiente e l'aria non sia troppo secca. Si applichino pertanto d'inverno ai termosifoni gli appositi umidificatori.

I principali effetti di errori nella prevenzione delle malattie possono essere una caduta delle foglie, se l'acqua che si fornisce alla pianta è eccessiva, ma se viceversa l'innaffiatura fosse insufficiente si rischia una caduta ed un arresto nella crescita dei fiori. Anche all'illuminazione bisogna stare attenti, poiché, se essa è insufficiente, la pianta potrebbe non fiorire, mentre se è eccessiva le foglie non asciutte rischierebbero d'ustionarsi, con enormi rischi di infezioni.

Passando ora alle malattie vere e proprie, uno dei più fastidiosi e comuni parassiti per i floricoltori sono le cocciniglie (immagine a sinistra), insetti fitofagi (dal greco, significa "mangiatori di piante") di colore bianco o bruno. Individuarli è facile: sembrano piccole macchie sulle foglie e, se passando un dito vengono via, sono cocciniglie. La prima difesa è utilizzare del cotone bagnato di alcol, ma se la cocciniglia non viene sconfitta si può procedere al rinvaso, pulendo con un getto d'acqua le foglie e le radici.

Bisogna stare attenti anche agli afidi, nome con il quale si indica la superfamiglia degli Aphdoidea, insetti anch'essi, i quali vanno combattuti tempestivamente con appositi prodotti, poiché possono diventare pericolosi veicoli di malattie infettive. Essi possono essere individuati anche semplicemente osservando le foglie con una lente d'ingrandimento. L'immagine a destra ritrae una femmina di afide nell'atto del partorire.

Un altro nemico delle orchidee è costiuito dai funghi. Sono pericolosi ad esempio quelli appartenenti al genere degli Phytophthora (dal greco "phyton", pianta, e "phthorà", 

distruzione), poiché provocano marciume (immagine a sinistra) alle foglie e, se tale marciume si estende fino alle radici, la pianta muore nel giro di due settimane. Bisogna prevenire il morbo evitando temperature troppo basse od eccessiva umidità. Anche i virus possono danneggiare notevolmente le orchidee, specialmente i cosiddetti virus della maculatura o del mosaico (immagine a destra), i cui nomi derivano dalle macchie che compaiono sulle foglie. In particolare per questi non esistono cure, pertanto è necessario stare attenti a rispettare le norme per la prevenzione.

 

 Usi e Curiosità

 

Un po' di storia

Evoluzione

Com'è noto, le piante con fiori si sono evolute successivamente alle piante senza fiori. Le prime piante a comparire sulla terraferma furono le briofite, fra cui i muschi ed i licheni, mancanti d'un sistema vascolare e dunque molto limitate nella loro crescita fisica. Le prime piante con sistema vascolare furono le pteridofite, fra cui ad esempio le felci. A queste seguirono poi le gimnosperme, dal greco "gymnòn spérma, ossia "seme nudo", poiché tali piante non presentano alcun frutto che rivesta il seme e non sviluppano quindi fiori. Ne sono esempi piante come il pino e l'abete. Si tratta di specie assai antiche, poiché compaiono già 300 milioni di anni fa ed alcune specie moderne sono state riconosciute anche in fossili del Giurassico. E le nostre orchidee? Quand'è che fanno la loro comparsa? Le orchidee furono fra i primi fiori a sbocciare nella fantastica storia della vita sulla terra ed i primi fossili sono datati 65 milioni di anni fa, ossia la data che segna la fine dell'era del mesozoico (dal greco "mése zoé", vita di mezzo), noto alla maggior parte delle persone come l'era dei dinosauri. Da allora le orchidee si sono evolute e diversificate, dando origine ad innumerevoli specie, diffuse soprattutto nelle zone tropicali, ma anche nelle zone temperate, come nel caso della nostra Orchis simia.

L'uomo alla scoperta dell'Orchidea 

Come suddetto, il primo a parlare analiticamente delle orchidee fu Teofrasto (immagine a sinistra), discepolo di Aristotele e suo successore nella direzione della scuola aristotelica, il Liceo. Nell'opera Sulla storia delle piante, un trattato di botanica, l'autore greco descrisse in maniera molto dettagliata più di cinquecento specie vegetali, fra cui anche molte specie d'orchidea. I Greci chiamavano queste piante "sandali del mondo", poiché alcune specie avevano il labello proprio a forma di sandalo. Teofrasto fu anche il primo a classificare queste vegetali, tanto che fu da molti studiosi soprannominato il "padre della tassonomia". Un altro antico che parlò delle orchidee fu Dioscoride, vissuto nel primo secolo dopo Cristo. Egli era un medico e trattò di botanica nel De materia medica, un trattato in lingua greca nel quale si parlava delle applicazioni in medicina delle varie piante. Non c'è da stupirsi che, in piena epoca romana, i medici fossero greci e scrivessero in greco: nessun cittadino romano avrebbe infatti mai voluto svolgere il mestiere di medico, perché a Roma si riteneva immorale curare le persone a pagamento. 

I primi tuttavia a produrre veri e propri trattati sulla coltivazione delle orchidee furono i Cinesi nell'undicesimo secolo. Anche gli Aztechi si interessarono a queste piante, soprattutto per quanto riguarda le specie appartenenti al genere Vanilla (a sinistra un esemplare di Vanillia planifolia). Questo genere è particolarmente interessante, poiché da esso si ricava la vaniglia, già utilizzata presso le popolazioni del Mesoamerica. In Europa si riuscì a coltivare questa pianta solo nel XIX secolo, quando si comprese l'importanza delle api melipona, indispensabili alla fecondazione della pianta. Quando però si riuscì nell'intento, in Europa scoppiò una vera e propria mania per la vaniglia, particolarmente alla corte di Francia, tanto che una nobildonna ed amante del re Luigi XIV, le Roi Soleil, Françoise-Athénais marchesa di Montespan (immagine a sinistra) la utilizzava per profumare il proprio bagno. Anche il sovrano rimase molto colpito da questa pianta e provò senza successo a farla coltivare sull'isola di La Réunion, nell'oceano Indiano. Nel sedicesimo secolo il botanico tedesco L. Fuchs dedicò all'orchidea un'ampia parte del proprio trattato De historia stirpium commentarii insignes, pubblicato nel 1542, anticipando Linneo. Anche Darwin parlò a lungo di queste piante, tanto che Olanda ed Inghilterra iniziarono ad importare specie tropicali dalle colonie.

Vorrei infine poter concludere questa sezione dedicata al rapporto tra uomo ed orchidea con una poesia, che l'anonimo autore volle dedicare ad una fanciulla, la quale, come le orchidee mediterranee vengono spesso dimenticate, malgrado la loro bellezza, in favore di quelle tropicali, non amava mettersi in mostra e, benché fosse donna di grande dolcezza, veniva da pochi scorta ed ammirata. Da un punto di vista metrico, abbiamo due strofe saffiche, chiamate così in onore della poetessa greca Saffo, la quale per prima nelle sue poesie d'amore utilizzò questo metro (formato in origine da tre endecasillabi faleci e da un adonio, trasportati nella metrica italiana con tre endecasillabi ed un quinario). Il nome della fanciulla è forse fittizio.

Tacita, nascosta nella gariga

non t'ha nel süo giardino la dea,

ti manca il biondo d'una bella spiga,

o mia orchidea;

 

eppure sei tu per me così cara

avvolta in aura amabile e fresca

con la tua tinta porporina, rara:

sei tu, Francesca.

Il mito di Orchide

Narra una leggenda originaria dell'Epiro (regione nord-occidentale della Grecia, ai confini con l'Albania) di un ragazzo di straordinaria bellezza, di nome Orchide, il quale sviluppò caratteristiche femminili, come ad esempio i seni. Anche il suo carattere si mostrava ora tipicamente maschile, ora tipicamente femminile. Orchide crebbe, ma, per le sue insolite caratteristiche fisiche, non era accettato né dagli uomini né dalle donne e finì ben presto per ritrovarsi solo. In preda alla disperazione, Orchide raggiunse un'alta rupe e vi si gettò, morendo sul colpo. Dalle sue membra ormai senza vita nacquero fiori di svariato aspetto, i quali furono chiamati orchidee, dal nome del fanciullo. Da allora l'orchidea è divenuta simbolo d'armonia, come armonioso era l'aspetto di Orchide. Egli, rimasto solo, non era infatti riuscito a trovare la forza per riscattarsi, ma lo straordinario evento alla sua morte l'aveva fatto per lui, quasi a dimostrare che spesso sono proprio le persone che scartiamo, magari per dei pregiudizi dovuti all'aspetto fisico, sono quelle con una maggiore bellezza interiore.

 

 

 Avvistamenti

  • L'Orchis simia può essere trovata in ambienti aperti, che predilige, come prati, cespuglieti, limiti di boschi o strade. Per parlare delle nostre zone, sull'Amiata questa specie è abbastanza rara, poiché non cresce che in zone cespugliate al limite dei boschi, fra i 550 ed i 900 metri sul livello del mare. 

 

 Links e Riferimenti Bibliografici

Siti Internet:

Libri:
  • Orchidee spontanee del monte Amiata, M. Contorni, supplemento al numero 14 degli atti del museo civico di storia naturale di Grosseto, 1992
  • Le orchidee spontanee della Maremma grossetana, C. Del Prete, H. Tichy, G. Tosi, 1993

 

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